STORIA DELLA LINGUA VIETNAMITA

La lingua vietnamita è parlata da circa 73 milioni di persone, l’80% circa della popolazione Vietnamita, e da circa 7 milioni di vietnamiti all’estero; negli USA, ad esempio, è la settima lingua più parlata, a causa della presenza di circa un milione di immigrati all’epoca dei boat people.
Partendo dalla famiglia linguistica denominata Austro-Asiatica, troviamo i rami delle lingue di tipo Munda e di tipo Mon-Khmer; quest’ultima si divide in Asiatica, Mon-Khmer dell’Est, Monica, Nicobarica, Mon-Khmer del Nord, Paliu e Viet-Muong (tutte lingue che immagino parliate fluentemente); nel sottoramo Viet-Muong troviamo, finalmente, il Vietnamita, in compagnia di Chut, Cuoi, Muong e Thavun.
A seguito della dominazione cinese, avvenuta tra il 111aC ed il 939dC, venne introdotto in Việt Nam sia l’alfabeto, sia la lingua cinese (tale lingua venne chiamata chữ nho, “caratteri scolastici”), e così sarà fino al 1918, quando questa lingua venne abolita ufficialmente.
A partire dal 939dC, però, e dunque a partire dall’indipendenza Vietnamita, iniziò a svilupparsi una scrittura alternativa, detta chữ nôm (“caratteri dialettali”), che si basava sempre sul cinese, ma che cercava di adattare la pronuncia ai suoni del dialetto del Việt Nam, che con il tempo si diversificarono, in parte, da quelli della loro terra vicina.
Alcune parole vennero copiate integralmente dal cinese, quando la pronuncia risultava quasi identica: è il caso di , che in cinese (mandarino) si pronuncia “shān” ed in Vietnamita “sơn”; altre parole, invece, vennero create dalla somma di due parole cinesi, indicanti generalmente la prima il significato, e la seconda la pronuncia (indipendentemente dal significato originario): 焒 (lửa, fuoco) nasce come combinazione di 火 (fuoco, in cinese) e di 吕 (che si legge circa ); ancora,  (ấy, che) equivale a 衣 (vestito, in cinese) senza la riga superiore (così che la pronuncia risultante sia, all’incirca, yi).
Chiaramente, questo tipo di scrittura poteva essere capito ed usato solo da chi già conosceva il cinese, e quindi rimase ad appannaggio dell’élite. Inoltre, questo nuovo sistema complicava alquanto i simboli cinesi già esistenti, e non incontrò mai il favore dei cinesi, che infatti non accettarono questa lingua ed anzi la considerarono di secondo livello.
Sebbene il primo documento scritto in chữ nôm risalga al 1209dC, escludendo la parentesi di 14 anni, durante la rivolta del Tây Sơn, in cui i documenti ufficiali vennero scritti in questo modo, dobbiamo attendere il XVIII sec. prima di trovar un uso massiccio di questa lingua e di questo alfabeto tra i letterati: l’opera più famosa scritta in chữ nôm, infatti, è la Truyện Kiều (“storia di Kieu”), scritta da Nguyễn Đu (1766-1820).
A causa del fatto che i caratteri venivano spesso inventati dai diversi scrittori dell’epoca, esistevano molti simboli chữ nôm con lo stesso significato, così come, al contrario, un solo carattere chữ nôm con molti significati diversi. Per questo motivo, nel 1867 venne proposta una versione standardizzata di questo alfabeto, che l’allora imperatore Tự Đức non accettò, lasciando irrisolti questi problemi che si protrarranno poi anche nel vietnamita moderno.
Nel XVII sec., intanto, iniziano a sbarcare in Việt Nam i primi occidentali, tra cui i portoghesi Gáspar de Amaral ed Antoine de Barbosa, che iniziano a cercare di rendere più accessibile alle masse i testi sacri. Successivamente, Alexandre de Rhodes (1591-1660) perfeziona questa tecnica, dando origine al cosiddetto quốc ngử  (“scrittura nazionale”), un alfabeto latino abbastanza complesso, con accenti e toni. Questo nuovo metodo di scrittura, sicuramente molto più leggibile del cinese o del suo derivato (sinovietnamita), pian piano prese piede ed esplose quando, nel 1910, un decreto francese lo impose come unica lingua riconosciuta nella scrittura di documenti ufficiali.
Tra il 1954 ed il 1974, questo alfabeto venne sottoposto a revisioni ed il risultato finale è il Vietnamita attuale.
L’alfabeto moderno si compone dei 26 caratteri inglesi, cui vanno tolte le lettere j, w e z (usate solo per trascrivere parole straniere), e cui vanno aggiunte le seguenti lettere: ă, â, đ, ê, ô, ơ, ư.
Il Vietnamita, come il cinese, il giapponese, il tailandese e numerose altre lingue asiatiche, è tonale, e quindi servivano dei simboli per rappresentare i 6 diversi toni: l’accento grave (`), l’accento acuto (´), la tilde (˜), un semi punto interrogativo (̉  ), un puntino (.).
La somma di toni ed accenti produce dei caratteri finali abbastanza complicati, come già avete potuto notare durante la lettura di questo testo, che però sono fondamentali per distinguere il significato delle parole, come possiamo vedere da questo interessante esempio:

Toni/lettere
a
ă
â
 
Dam (aragosta)
Dăm (pochi)
Dâm (desiderio)
`
Dàm (anello)
Dằm (pezzetto)
Dầm (scavare)
´
Dám (osare)
 
Dấm (rabbia)
˜
 
 
Dẫm (incudine)
̉  
 
 
 
.
Dạm (offrire)
Dặm (percorso)
Dậm (colpo)

In pratica, la stessa parola, DAM, può essere scritta in 12 modi diversi ed avere 12 significati diversi, a seconda del tipo di lettera e del tipo di accento!

Per quanto riguarda la pronuncia delle consonanti, grossomodo funziona così (tra parentesi quadre, il simbolo fonetico corrispondente):

c, -ch si legge c di cane; [k]

ch- si legge c di cena; [t∫]

đ si legge d di domenica; [d]

d, gi, r si leggono s di asma [z] al nord, i,i [i] ed r [r] al sud;

kh si legge come ch di ich in tedesco; [x]

ng è come la –ing inglese; [ɲ]

nh- si legge gn di montagna; [ɳ]

-nh si legge come la –ing inglese; [ɲ]

ph si legge f; [f]

s,x si leggono s di silenzio; [s]

th- è una t molto aspirata (calabrese);

tr- si legge c di cena al nord, tr al sud; [t]

Per le vocali, invece:

a si legge à; [ɑ]

ă si legge come la a inglese di tap; [æ]

â si legge coma la u inglese di cut; [ʌ]

ê si legge e; [e]

e si legge è; [ɛ]

i si legge i; [i]

ư si legge come u brevissima spaventata (u’!); [ɯ]

ơ si legge come una doppia â; [ɣ]

o si legge ò; [ɔ]

ô si legge o; [o]

Come poi i toni vadano letti (crescente, discendente, crescente spezzato e così via) resta per me del tutto un mistero!

Un retaggio del passato è l’aver mantenuto, anche in questo alfabeto, l’antica divisione per sillabe tipica del cinese. In realtà, moltissime parole sono formate da più sillabe che, prese singolarmente, o non significano nulla, oppure sono addirittura fuorvianti; un altro problema è che vennero convertite in quốc ngử  anche tutte le sillabe scritte in chữ nôm, e che alcune sillabe, che in cinese avevano un certo significato, ora in Vietnamita ne hanno un altro completamente diverso. Con un caos del genere, uno, anche se ha un vocabolario, non sa mai se la parola davanti a sé è di una, due o tre sillabe; se è cinese (o sino-Vietnamita, ossia chữ nôm) oppure Vietnamita moderno! Tra parentesi, ricordo che il cinese venne insegnato sino al 1918 ed il chữ nôm sino al 1920, quindi è molto facile trovare un mix di parole cinesi, sinovietnamite e moderne tutte trascritte con i caratteri latini di oggi!

Ora che abbiamo capito che in Việt Nam le cose possono essere scritte in tre modi diversi, risulta più facile anche tradurre, ad esempio, i nomi delle città che abbiamo visitato:

Hà Nội è la versione chữ nôm del cinese hè héi (河内), ossia la somma delle parole “fiume” e “dentro” (in vietnamita moderno, “hà” vuol dire “resuscitare”, mentre la seconda parola non esiste più);

Huế significa “cambio”, si scriveva 化 e deriva dal cinese huà;

Đà Nẵng, pensate, voleva dire, in cham antico, “grande fiume”; venne poi chiamata Xìan Găng in cinese (“porto su ripida collina”), e quindi riconvertita nella pronuncia sino-vietnamita Nghiễn Cảng (峴港), che poi si tradusse nell’odierno 沁曩 (“anticamente, un fiume”);

Il sito di Mỹ Sơn deriva da Mỉ Sơn o Mĩ Sơn (美山), cioè “bellissima montagna”. Cercando su un dizionario vietnamita moderno, ora le due sillabe significano “dipingere l’americano”, ed è stata proprio l’assurda traduzione di questa città a spingermi a capirci di più. La traduzione moderna sarebbe Đẹp Núi. Notate che núi (anticamente scritta ) è comunque di origine chữ nôm, perché deriva da 山 (montagna, sơn) e 内 (che si leggeva “nei” in cinese): ci troviamo in un caso in cui una parola cinese, già usata nel passato ma morta con il tempo e poi tornata in auge con un significato diverso, è stata sostituita da due parole cinesi che sono invece giunte sino a noi! La stessa cosa vale per la parola Đẹp, formata da 美 (Mĩ) e da un secondo simbolo, ossia la pronuncia cinese equivalente al nuovo termine.

Hội An (會安) significa “popolo tranquillo”.

Ci sono poi nomi che addirittura derivano da altre lingue, come Sài Gòn, che proviene dal Khmer Prey Nokor, “città nella foresta”, o Nha Trang, che deriva dal cham Eatran o Yjan (“fiume d’alghe”). Cercando sul dizionario, ed aggiungendo qualche accento e qualche tono, Nhà Trắng significa “casa bianca”, da cui nasce la seguente favoletta: quando i francesi sorvolarono questa località, chiesero ad un vietnamita che città fosse, indicando con il dito verso il basso; questi notò un tetto bianco e disse: “casa bianca”!

Se il Vietnamita antico confonde nella ricerca del significato delle parole su un dizionario moderno, anche quello moderno non scherza: máy bay, ad esempio, significa “aeroplano”, ma “máy” da solo vuol dire “macchina, sentimento, muoversi” mentre “bay” “volo, tu”; quindi, teoricamente, máy bay significa anche “tu ti muovi”! O ancor peggio: Công viên, “parco pubblico”, è formato da Công (“lavoro”, “salario”, “stare sulla difensiva”) e viên (“pillola”, “pallottola”): se uno non sa che non deve separare le sillabe, anziché andare al parco crede di beccarsi una pallottola mentre sta lavorando!

Come se non bastasse, la pronuncia è molto difficile, perché nelle lingue occidentali non esistono i toni, ed i vietnamiti proprio non sembrano riuscire a compensare i nostri errori! Un esempio banale: “Italia” si scrive “Ý”, e quando ci chiedevano da dove venivamo, rispondavamo “I!”. Non ci capiva quasi mai nessuno, probabilmente perché in realtà stavamo dicendo “Ỳ” (vantaggio), o “Ỷ” (trono), o “Ỵ” (parola inesistente), in realtà completamente fuori contesto. Solo con la giusta pronuncia, “iiiììì?”, colpivamo il bersaglio. Se non in rarissime occasioni o per divertimento (come ad esempio al ristorante, dove mi capivano nel 50% dei casi), conviene cercare di comunicare in inglese, anche se le risposte che si ottengono, spesso, sono arcane: i vietnamiti leggono l’inglese come se fosse vietnamita, per cui tagliano tutto: “si” per “six”, “bai” per “bike”, “ci” per “cheap”, fino a quando una frase di senso compiuto diventa un rebus: “si do la ci bai” (six dollars, cheap bike)!

Alexandre de Rhodes