28 LUGLIO – CARTAGINE (CARTHAGE, قرطاج
, qrtāğ, qartāğ) , SIDI BOU SAÏD (سيدي
بو سعيد , sīdī bū
sʾīd, sīdī bū
saʾīd)
Finalmente, per la prima volta da quando siamo in Tunisia, riusciamo
a fare una colazione come si deve! Abbandonate le marmellatine confezionate
al gusto di fichi che ci venivano propinate ogni giorno a Sousse, e lasciato
da parte il café au lait con marmellata alla pseudopera (il disegno era
di una pera ma non c’era scritto poire sopra), finalmente ci deliziamo
con del buon te al limone, brioche appena sfornate e panini con vari tipi di
marmellata: una goduria per i nostri palati! Anche la Jenny mangia di gusto
nonistante le sue nausee mattutine!
Siamo pronti per cercare di capire come funzionano il Métro Léger (il
tram) ed il TGM (Tunis-La Goulette-Marsa), perché ci servono entrambi
i mezzi per andare a Cartagine, antico porto fondato dai Fenici, il cui nome
in punico, letto Kart-Hadshå e scritto “Qrtḥdšt”, significa
“città nuova”. I tunisini non brillano in precisione, ma dopo due o tre
tentativi e due o tre sottopassaggi riusciamo finalmente a capire che treno
prendere ed in quale direzione andare. Dalla stazione centrale andiamo quindi
con il Métro Léger fino a Tunis Marine, scendiamo, percorriamo un centinaio
di metri a piedi e saliamo sul TGM con destinazione Cartahge Byrsa, impiegando
circa venti minuti.
La partenza è abbastanza brusca e drammatica: il treno è affollato e ci mettiamo
in piedi vicino alle porte ancora aperte, e in quel momento salgono tre ragazzini
tunisini, evidentemente molto accaldati, che ne bloccano la chiusura automatica.
Acquistiamo velocità, e la prima curva, secca ed improvvisa, mi proietta direttamente
verso l’uscita. Non trovando niente dove appendermi per non volare fuori, mi
aggrappo alla Jenny, che a sua volta su aggrappa a me, e contemporaneamente
punto i piedi per frenare la mia corsa. Fortunatamente, la curva finisce, il
treno torna stabile, e noi ci fermiamo in tempo.
Scampato il pericolo, ci godiamo il panorama da questa linea ferrata inaugurata
nel 1872 grazie ai lavori intrapresi dall’industriale inglese Ewdards Pickering.
Arrivati alla stazione di Carthage Byrsa, percorriamo Av. 20 Mars 1934 ed arriviamo
alla prima meta della giornata: i porti punici. Quello che incontriamo
non è propriamente uno spettacolo mozzafiato: nel mezzo del nulla, due laghetti
circondati da terra e fango testimoniano ciò che un tempo era un enorme porto
fenicio, capace di contenere sino a 220 navi. Nel 146aC Scipione l’africano
interrò tutto e poi i romani, con la costruzione della nuova Cartagine, rifecero
il porto alla loro maniera dissotterrandone una parte.
Certo, tutta questa descrizione non sarebbe possibile se non fosse per un piccolissimo
museo di una stanza soltanto che si trova proprio accanto ai laghetti e che
è “presidiato” da uno strano personaggio; questi, non appena ci vede, ci chiede
il biglietto (che non abbiamo, anche se in teoria non dovrebbe servire), poi
ci fa entrare lo stesso come per farci un favore, ed inizia a “spiegarci” il
museo (peraltro molto interessante) praticamente leggendo le didascalie. Poi
all’improvviso esce, per tornare qualche istante più tardi con uno straccetto
appallottolato nella mano; lo svolge, e mi mostra delle monete ed un piccolo
recipiente di argilla, secondo lui punici, per poi cercare di vendermeli (per
la cronaca, €10 a monetina).
Ritorniamo alla nostra fermata del TGM per riscendere a Carthage Hannibal, vicino
alla collina di Byrsa. Una lunga salita ci porta nel punto più alto di
Cartagine, cuore spirituale dell’antica città. Qui si trovavano le più importanti
strutture puniche, di cui non rimane quasi nulla in seguito alla distruzione
romana, e sempre qui venne costruito il foro ed il campidoglio; ma anche di
queste costruzioni non rimangono che frammenti di colonne, quando alla caduta
dell’impero seguì la caccia disperata ai materiali da costruzione.
A nordest della collina si apre quella che sicuramente è la parte più interessante
di tutto il sito archeologico, ad esclusione del teatro romano che assolutamente
non vale la pena di visitare (e che naturalmente ha anche lui le sue brave sedie,
i suoi cavi, le sue casse ed i suoi fari per accogliere il Festival di Cartagine):
stiamo parlando delle Terme di Antonino e delle ville romane.
Le ville sono spettacolari perché occupano una superficie abbastanza grande
e sono ancora ben conservate: di particolare interesse sono sia la Villa della
Voliera, con i suoi mosaici e la stupenda vista sul golfo, sia il magazzino
coperto. Poco più in là si possono visitare le terme, costruite a metà del II
secolo dC. Per fortuna riusciamo a goderci il paesaggio prima dell’arrivo di
tre comitive, numerose e chiassose, che distruggono in pochi secondi l’atmosfera
monumentale. Sono rimaste intatte le fondamenta del frigidarium ed una unica
colonna alta 15 metri, che da sola fa capire quanto imponente dovesse essere
l’intera struttura. Mentre sto scattando una fotografia, mi arriva dal fianco
una ragazza russa che agitando la mano come per scacciarmi, mi intima “Спасибо”
(spasiba, “grazie”) per farsi a sua volta scattare una foto dall’amica,
ma rimango immobile sulle mie, rispondendole seccato “Нет,
спасибо!” (niet, spasiba!, “no
grazie!”)!
SIDI BOU SAÏD
Prossima tappa del nostro giro odierno è l’azzurra Sidi Bou Saïd, il cui nome
significa “mio signore Bou Said” in onore di Abou-Saïd Ibn Khalaf Ibn
Yahia Ettamimi al-Beji, il santo protettore dei marinai. Risaliamo quindi sul
nostro TGM (ricomprando il biglietto) per scendere tre fermate dopo. È pieno
pomeriggio, e si muore dal caldo; percorriamo la strada in salita che dalla
stazione ci porta al centro, e ci fermiamo immediatamente al Café de Nattes,
uno dei posti più antichi del paesino, per sorseggiarci un po’ di te ai pinoli
e prendere dei dolcetti, visto che non abbiamo ancora mangiato nulla. Il posticino
è delizioso, anche se un po’ caro, e le sue lunghe panche in muratura coperte
da stuoie sono l’ideale per riposarsi ed osservare la gente che fuma il narghilè,
chiacchiera, legge. Anche la Jenny ne approfitta per sdraiarsi un po’, visto
che la gravidanza la stanca maggiormente, e per leggersi “The tremor of forgery”
(“La spiaggia del dubbio”) di Highsmith, ambientato in Tunisia negli anni 1960:
sembrerà incredibile, ma la descrizione dei posti, dello stile di vita e dell’igiene
di allora si sposa ancora perfettamente con quello che vediamo noi oggi in questo
Paese! Rimaniamo là almeno un paio d’ore, in modo da poter girare lungo le stradine
con la giusta temperatura e la giusta luce. Le foto, poi, si sprecano: porte,
finestre, fiori, scorci sono infiniti, ed il contrasto dell’azzurro sul bianco
sembra sempre nuovo, senza mai stancare.
In uno di questi vicoli, un ragazzino tunisino simpaticissimo (si era imparato
un sacco di modi di dire romaneschi) ci propone un gelsomino profumatissimo:
è un’usanza locale quella di portare un gelsomino dietro l’orecchio (per gli
uomini) o sulla camicetta (per le donne), ed accettiamo anche noi.
Per la serata, decidiamo di trattarci bene, e così ceniamo al ristorante Au
bon vieux temps, in splendida posizione e rinomato anche per aver ospitato
clienti illustri (Miss Francia 2001 Èlodie Gossuin, l’ex segretario generale
delle Nazioni Unite Butros Gali, il presidente del Portogallo Jorge Sampaio,
la cantante francese Patricia Kaas, il capo del governo francese Jean-Pierre
Raffarin e molti altri). Il menu supera di molto le nostre conoscenze di francese,
e scegliamo dunque due piatti – pesce per me e carne per la Jenny – senza conoscerne
il significato. Io mi prendo quindi un Filet de loup e la Jenny una Blanchette
de lotte. Mentre attendiamo i nostri piatti sorpresa, ci divertiamo ad osservare
il comportamento dei camerieri: sono decisamente troppi per il numero dei clienti
al momento presenti, e non sanno visibilmente cosa fare; il loro capo, però,
incurante delle buone maniere, li redarguisce a voce alta davanti a tutti, e
così questi, ogni due minuti circa, danno un colpo di polso alla tovaglia per
togliere delle briciole inesistenti, oppure mi prendono il bicchiere o la bottiglia
d’acqua e li spostano di un paio di millimetri, o ancora, aggiustano le posate
della Jenny in modo che siano in posizione perfetta sul tavolo. Molto divertente!
Arrivano i piatti, ed io scopro di essermi preso un filetto di una cosa che
sembra anguilla (comunque buonissimo!), mentre il piatto della Jenny, altrettanto
buono, è comunque non identificabile nemmeno dopo averlo visto ed assaggiato.
Un sms di mia sorella, interpellata in merito, svela che si tratta di rana pescatrice.
Il buio cala su Sidi Bou Saïd, e finita l’ottima e romantica cena a lume di
candela, riprendiamo la via di Tunisi.