Arriviamo finalmente a Cancún, protetti dal Signore
dato che le messicane vicino a me fanno il segno della croce alla partenza,
e lo fanno pure prima dell'atterraggio; l'uscita è terribile: passiamo
dai 21 gradi dell'aereo ai 29 umidi della città e ci asciughiamo all'istante,
sentiamo il caldo quasi bruciarci e ci sentiamo affaticati. Dopo aver fatto
tre metri, sentiamo la prima frase in spagnolo, pronunciata da un poliziotto
ad un suo collega "...con toda la calma del mundo!". Questo sarà
il secondo motto della vacanza. Benvenuti in Messico, signori!
Rapido confronto con il primo ATM Cirrus/Maestro che trovo, e con 500.000
circa prendo 2000 pesos. Dico circa perché, come in tutto il Sudamerica,
il cambio è riferito al dollaro americano (9 pesos per 1 dollaro) e,
cambiando il valore del dollaro, cambia di conseguenza anche quello del peso,
che comunque si può rapportare a circa 245 lire italiane.
Cancún è troppo cara per noi, e poi non c'è nulla da
vedere se non hotel, hotel ed hotel, così la nostra prima vera meta
è Tulum, a circa due ore dalla capitale dello Stato Federale del Quintana
Roo. Ci infiliamo in un bus malandato, per evitare il salasso di circa 35
dollari americani di un taxi ufficiale, ed arriviamo alla stazione del terminal
dei bus ADO, la ditta leader in Messico. Dobbiamo purtroppo attendere quasi
due ore prima di avere una corriera che ci porti a Tulum, e facciamo la conoscenza
della prima messicana, Berenice, di 7 mesi, e poi di sua madre.
Fa caldo, e non c'è l'atmosfera di gente "baraccata" come
in Perù: tutto è più moderno, sempre tenendo conto dello
standard sudamericano, e la gente sembra abituata ai turisti, perché
praticamente nessuno fa caso a noi.
La strada per Tulum è abbastanza monotona, tutta dritta attraverso
chilometri e chilometri di foresta, ed arriviamo alla nostra meta che sono
già le 21. E' buio, e veniamo lasciati in sostanza su una strada, abbandonati
a noi stessi, senza sapere neppure esattamente dove siamo. Ci avviciniamo
ad un albergo, che chiede un fracco di soldi e che è comunque pieno,
e ci consigliano il "Rancho Tranquilo", al di là di un ponte
che percorriamo con il cuore in gola a causa della completa mancanza di lampioni;
i grandi trucks americani e messicani ci sfrecciano accanto e immaginiamo
in ogni ombra che si forma losche figure pronte ad assaltarci. Tutto invece
prosegue tranquillo, perché in realtà il bello deve ancora arrivare.
A Tulum le abitazioni più usate sono le "cabañas",
ossia delle capanne di paglia e mattoni stile Africa, e quella che ci viene
proposta ci fa sobbalzare. E' un tugurio, con due letti avvolti da reti anti
zanzare tutti rotti, con un ventilatore nero per l'uso, con una chiusura tramite
lucchetto completamente inutile, ed un bagno esterno che non avevo mai visto
così malmesso in vita mia. Credo che gli Hindi o gli Hutu vivano in
situazioni molto migliori!
Dopo una breve doccia, badando bene a dove mettere i piedi e le mani, ritorno
nel mio letto e, sollevando i pantaloncini corti appoggiati sul tavolo, vedo
muoversi un insetto arancione enorme, che scacciamo in qualche modo. Troviamo
la strada per entrare nel letto, ed andiamo a dormire un po' sospettosi. Il
tutto, per 20.000 lire a testa.
Il giorno successivo andiamo a visitare le rovine di Tulum, davvero splendide
perché costruite a ridosso della scogliera e della barriera corallina,
e tocchiamo l'acqua del mare dei Caraibi. Ci fa da guida una signora che parla
persino l'italiano, e quindi impariamo molte cose su questo sito; ad esempio,
tutti i riferimenti agli equinozi ed ai solstizi: da qualcuna delle feritoie
presenti negli edifici del sito, il sole compare esattamente all'alba del
21 settembre o del 23 giugno, e la gente viene ad assistere a questo spettacolo
ogni anno. Al pomeriggio ci trasferiamo a Cobá, con le corriere Mayab,
dopo aver lasciato con una scusa le valigie nel nostro tugurio, e capiamo
che ognuna delle piramidi che andremo a visitare è completamente diversa
dalle altre, a seconda della generazione che le costruì (stile Puuc,
o Chenes, o altro). Qui troviamo ad esempio la costruzione più alta
dello Yucatán, il Nohoch Mul ("grande altura", in maya),
con una scalinata alta 42 metri e strettissima. Salire è una gran fatica,
ma il panorama che si gode è meraviglioso, la foresta immensa, le altre
piramidi attorno sembrano degli isolotti sparsi qua e là come dei salvagente
naturali; scendere è arduo, gli scalini sono ripidi ed alti, e arrivato
alla fine vengo colto persino da crampi, mentre voltandomi vedo la gente che
scende da seduta attaccandosi come può alla struttura per paura di
scivolare. Leggerò più tardi sulla guida che almeno una volta
l'anno un turista precipita, schiantandosi al suolo, e non mi stupisco affatto.
Ritorniamo a Tulum, recuperiamo le valigie dopo aver fatto impazzire l'autista
del taxi (vada qui, anzi, no, vada alla stazione delle corriere, anzi, no,
vada direttamente all'hotel!) e prendiamo un'altra corriera per Chetumal,
questa volta della ditta Riviera. Ancora una volta, arriviamo a destinazione
tardi la sera, ma siamo costretti a fare queste tirate per essere il 5 agosto
a Mérida e cercare di evitare di dormire una volta ancora a Tulum;
e poi c'è anche da dire che i bus partono ad orari assolutamente strani
e con poca frequenza.